lunedì 2 febbraio 2015

Dying Light

Un’immaginaria città turca (Harran) distrutta e devastata dal solito virus in stile Umbrella Corporation, migliaia di zombi che hanno invaso le strade, case ed edifici abbandonati, pochi superstiti e qualche sparuta zona protetta che ha resistito all’invasione dei morti viventi. E’ questo lo sfondo di Dying Light, nuova fatica di Techland che dopo l’ottimo Dead Island e il più interlocutorio Dead Island: Riptide torna alla formula del survival in prima persona. In effetti molti degli elementi visti nei due giochi appena citati tornano anche in Dying Light. La struttura da mondo aperto (non immenso ma nemmeno ristretto), le quest primarie e secondarie, le tante attività collaterali, la grande importanza data al crafting, le armi distruttibili e la progressione del protagonista del gioco in senso ruolistico. Se avete già giocato a Dead Island, vi troverete perfettamente a vostro agio in mezzo a questi vicoli lordi di sangue e corpi in decomposizione e a una città labirintica come poche. Un cambio di location che non piacerà a tutti visto anche l’atmosfera solare e caraibica di Dead Island, ma Harran riserva comunque una discreta varietà di ambientazioni tra colline, specchi d’acqua in cui nuotare e immergersi, gallerie, soprelevate, un lungo tratto ferroviario e alcuni edifici esplorabili di medie dimensioni (il grattacielo iniziale, la scuola, altri palazzi ecc.).



Evoluzioni ginniche tra gli zombi
La prima vera novità che si percepisce subito rispetto a Dead Island è l’estensione verticale della mappa e non è certo un caso. Dying Light prevede infatti un sistema di movimento in stile parkour che si maneggia senza particolari problemi fin da subito; si salta, ci si aggrappa a qualsiasi cosa, si scivola mentre si corre, si scavalcano muri e recinzioni. Il tutto per muoversi più agilmente sui tetti e sui terrazzi della città in modo da stare il meno possibile in mezzo alle strade piene zeppe di zombi, che a parte qualche rara eccezione sono i classici living dead lenti, impacciati e incapaci di saltare e di arrampicarsi. Muoversi in questo modo con una visuale in prima persona fa molto Mirror’s Edge, ma dopo lo spaesamento iniziale dobbiamo ammettere che il sistema funziona e la grande agilità del nostro alter ego coinvolge anche il sistema di combattimento, con mosse, calci volanti, finte e schivate che si imparano nel corso del gioco avanzando di livello. Lo scotto da pagare per essere così agili e veloci è l’impossibilità di guidare un qualsiasi veicolo. Se in Dead Island le auto e le jeep erano fondamentali per investire gli zombi e muoversi velocemente da una parte all’altra dell’isola, in Dying Light tutto ciò non è più possibile, anche perché spostarsi in auto in questi vicoli sarebbe praticamente impossibile. Ciò, unito all’assenza di un trasporto immediato che leghi i vari rifugi, costringe a muoversi continuamente a piedi e a farsi chilometri di corsa per tornare a un punto dopo aver risolto una missione. Questi continui spostamenti dopo un po’ tendono a stancare e la mancanza di qualche mezzo di trasporto più immediato si fa inevitabilmente sentire.

La notte del terrore
C’è davvero l’imbarazzo della scelta se amate trasformare, creare e potenziare tra medikit, modifiche elettriche, piante e funghi, molotov e altre “ricette” che aggiungono un certo tipo di danno alle armi. A funzionare molto bene è anche il sistema di progressione diviso tra Agilità, Forza e Sopravvivenza. Ognuna di queste voci aumenta di livello a seconda se ci muoviamo molto, se combattiamo spesso e se portiamo a termine le missioni. Guadagnato un punto al passaggio del livello successivo, possiamo attivare una delle rispettive skill e anche in questo caso l’albero delle abilità è fitto di opzioni tra potenziamenti attivi e passivi e nuovi tipi di attacco, pur rimanendo di comprensione immediata e approcciabile da qualsiasi giocatore. Quando poi cala la notte, Dying Light prende le sembianze di un vero survival horror; si vede poco e se si accende la torcia elettrica di rischia di attirare verso sé gli zombi, anche se il vero pericolo sono le creature della notte che vanno evitate come la peste. Le fughe da questi mostri sono il momento più spaventoso del gioco, ma per fortuna, stando attenti al loro “cono” visivo segnalato sulla mappa e quindi optando per un approccio quasi stealth, si può evitare di finire a brandelli. Mostri che tra l’altro possiamo impersonare in una modalità alternativa del gioco e che si controllano quasi come Spider-Man, con un’agilità pazzesca e con una specie di sostanza che funge da ragnatela per raggiungere altezze altrimenti proibitive.

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